Geronimo Barbadillo: la freccia peruviana dell’Avellino

Estate del 1982. L’Italia si è appena laureata per la terza volta Campione del Mondo, il calcioscommesse di due anni prima sembra solo un lontano ricordo. Ai nastri di partenza della stagione 1982/83 la Federazione aumenta il numero dei calciatori stranieri per club: da uno passano a due. Dopo il passaggio di Juary all’Inter, l’Avellino è alla ricerca di due nuove pedine da immettere nello scacchiere di Marchioro. Dal Belgio arriva l’attaccante danese Skov, dai messicani del Tigres il peruviano Barbadillo, ala destra con spiccato senso del gol. L’approdo in Italia però non è dei migliori: “Mi dissero vieni in Italia, ti portiamo in una squadra che lotterà per il quarto o quinto posto. Io arrivavo dal Messico, avevo vinto tanto, ero un giocatore importante anche in Nazionale. Sbarcai a Fiumicino, salimmo in macchina e mi dissero: è qui dietro, arriviamo subito. Partiamo e non arriviamo mai, finché mi incazzo. Ma come, in Perù vicino significa 10 minuti, non ore. Poi arrivai nella zona di Avellino. Un incubo. Pioggia e le case distrutte del terremoto di due anni prima. Io avevo portato con me la mia famiglia, mi girai verso di loro e gli dissi: Ma dove siamo finiti?”. Dopo le prime gare di Coppa Italia qualcuno suscita anche qualche perplessità sull’acquisto di Barbadillo, il talento peruviano, infatti, non riesce ad inserirsi negli schemi di gioco di Marchioro. Dopo neanche un mese dall’arrivo in Irpinia Barbadillo medita addirittura l’addio: “La prima partita, in casa del Torino, presi una tale gomitata da Beruatto che rimasi a terra, stordito, non potevo né parlare né respirare. La sera torno a casa e vedo mia moglie che piagnucola: Gerry, qui piove sempre, ho paura del terremoto e ti hanno conciato così alla prima partita: torniamocene subito in Messico. L’ho convinta a restare”. Passa una settimana e al Partenio arriva l’Ascoli. Dopo un primo tempo deludente Sibilia entra negli spogliatoi imbufalito: ”Avellino-Ascoli, seconda di campionato, il primo tempo termina 0-0. Scendiamo negli spogliatoi e arriva Sibilia. Guarda Vignola e urla: “Che cazzo fai? Pari na’ signurina”. Poi Limido: “Si nu cavall pazzo: corri e basta, nun crossi maje”. Io, spaventatissimo, mi avvicino a Di Somma: “Ditegli di smettere o non gioco più”. E lui: “Ma no, Gerry, è normale, il presidente è così”. Mi avvicino a Tacconi, stessa risposta. Allora inizio a cambiarmi e vado a fare la doccia: “Adios, torno in Messico”. Arriva mister Marchioro: “Gerry, devi capire e bla bla bla”. Mi convincono, mi rivesto e torno in campo: 2-0 per noi e gol mio. L’inizio dei momenti belli”.

Avellino-Ascoli 2-0. La prima rete in campionato di Barbadillo in maglia verde.

Barbadillo nasce a Lima, Perù, il 24 settembre del 1954. Il talento ce l’ha, un dono di famiglia del padre Guillermo (25 presenze in nazionale dal ’47 al ’56) eroe dell’Alianza Lima che infiamma il Perù negli anni cinquanta: “Giocavo per strada, mio padre mi trasmise la passione per il calcio. Lui, però, mi voleva medico, diventando calciatore si sarebbero fatti troppi paragoni tra me e lui”. Con l’aiuto della nonna firma, clandestinamente, il primo cartellino a 16 anni iniziando la carriera da calciatore. Debutta nel ’72 con lo Sport Boys di Callao, formazione dei portuali di Lima, esordisce in Nazionale, nel 1974 passa al Defensor Lima, dove rimane per due stagioni. L’anno di grazia è il 1975. Prima vince la Coppa Bolivar, torneo giocato dal 1970-1976 dai tradizionali top club provenienti da Bolivia, Colombia, Ecuador, Perù, Paraguay e Venezuela; poi concede il bis con la propria nazionale quando si toglie lo sfizio di vincere la Coppa America ai danni della Colombia.

Il Perù festeggia la vittoria della Coppa America, 1975.

Su Barbadillo mettono gli occhi parecchie squadre, al termine della vittoriosa Coppa America sembra tutto fatto per il suo passaggio al Boca Juniors. Alla fine la spuntano le Tigres de Nuevo Leon, grazie anche alla mediazione del tecnico peruviano Lostaunau. In Messico Barbadillo rimane sette anni (1975-1982). Nella prima stagione (38 presenze e 8 reti) vince subito la Coppa di Messico, povera di sussulti, invece, la seconda stagione con la maglia dei Tigres (32 pr. e 5 reti), con la squadra che perde la Super Coppa non qualificandosi nemmeno per i play off scudetto. Il primo titolo nazionale arriva nella stagione 1977/78, grazie anche all’ottima stagione di Barbadillo (38 pr. e 12 reti) che conduce i suoi alla vittoriosa finale contro l’U.N.A.M. (2-0/1-1).

Con la maglia dei Tigres de Nuevo Leon

Barbadillo si conferma su ottimi livelli anche nella stagione 1978/79 (38 pr. e 12 reti), il suo U.A.N.L. (Universidad Autonoma de Nuevo Leon) si ferma ad un passo dalla finale scudetto. La sua ottima stagione è ricompensata quando il presidente della società messicana gli regala una macchina. I Tigres ci riprovano ancora durante la stagione 1979/80. Barbadillo (premiato come miglior ala destra del campionato) trascina letteralmente la squadra alla finale scudetto, persa poi contro il Cruz Azul (0-1/3-3). Durante una tournée in America i New York Cosmos rimangono talmente impressionati dal peruviano che arrivano a offrire 1 milione di dollari ai Tigres, che rifiutano l’offerta sperando di incassare una maggiore somma per un’eventuale prossima cessione. Per il quarto anno consecutivo, 1980/81, Barbadillo arriva in doppia cifra (36 pr. e 10 reti), ma i Tigres non si qualificano nemmeno per i play off scudetto. Nell’ultima stagione in terra messicana arriva il secondo titolo per Barbadillo, l’ala peruviana è l’autentico trascinatore della squadra (36 pr. e 10 reti). Nella finale contro l’Atlante (2-1/0-1) la vittoria arriva solo ai calci di rigori. Dopo sette anni, due scudetti vinti e una Coppa di Messico, per Barbadillo è arrivato il momento di cambiare aria. Il peruviano entra nella storia dei Tigres: negli ultimi tre anni si piazza sempre nei primi tre posti delle classifiche per rendimento; con 74 reti entra nella top five dei migliori marcatori della società; la sua maglia numero sette viene ritirata dal club. Per tutti era diventato Patrulla. Il soprannome deriva da un telefilm americano trasmesso in Messico negli anni ’70 intitolato “Patrulla juvenil”. Il protagonista, un poliziotto di colore con i riccioloni cotonati, inseguiva i ladri a piedi ed era velocissimo.

Barbadillo festeggia la vittoria del campionato, 1981/82.

L’opportunità di arrivare in Europa arriva dopo una tournée giocata dai Tigres in Europa. Nicola Gravina (manager che ha portato in Italia Juary) vede Barbadillo per la prima volta proprio durante un’amichevole dei Tigres giocata ad Ancona. Gli propone la possibilità di un trasferimento in Italia o in Spagna.  Il manager si rifà vivo nel Mundial di Spagna comunicandogli che ci sono buone possibilità di finire in Italia. Barbadillo si consulta con la moglie e senza sapere nulla della destinazione accetta. Barbadillo però ha poche notizie sul campionato italiano: “La Nazionale italiana è tra le migliori d’Europa. Conosco Juary per averci giocato contro in Messico, Falcao, popolarissimo in Sudamerica, e avevo sentito parlare di Paolo Rossi. Nient’altro”.

Stagione 1982-83

Dopo la non brillante apparizione con il suo Peru ai mondiali di Spagna (3 presenze, eliminato al primo turno), Barbadillo sbarca in Italia, costo del cartellino: un miliardo di lire. Arriva ad Avellino con la fama di essere la migliore ala destra del Sud America: piedi d’artista, ala con il fiuto del gol. Da buon religioso ad ogni gol si fa il segno della croce: “Arrivo ad Avellino, Sibilia mi fa spogliare e mi esamina come si fa con i cavalli. Mi guarda e dice: “Cumpà, tieni è gambe storte ma va bbene ppe fa’ e dribblìng. Ci sta sul nu’ problema: te aià taglià è capill”. A l’estro del peruviano l’arduo compito di sostituire un altro numero sette: Mario Piga. Nel ritiro di Pontremoli Barbadillo sbalordisce tutti. Durante i test di Cooper corre i 3550 metri in 12 minuti, doti da fondista. Anche Marchioro rimane entusiasmato dalle doti atletiche del peruviano: “E’ un atleta che verrà fuori alla distanza”.  Il suo primo anno in Irpinia è da incorniciare. Gioca titolare tutte e 30 le partite (2.644 minuti giocati), il numero sette peruviano diventa indispensabile sia per Marchioro prima sia per Veneranda dopo. Complice la scarsa vena realizzativa di Skov e Bergossi, Barbadillo si traveste spesso da attaccante, come lo dimostrano le 6 reti realizzate in campionato (vice-capocannoniere della squadra dietro a Vignola). Discontinuo in trasferta, come tutta la squadra d’altronde, al Partenio diventa praticamente imprendibile (tutte le reti siglate in campionato arrivano tra le mura amiche): reti, assist, dribbling, velocità e una tecnica invidiabile.

In azione

Stagione 1983-84

L’ottimo campionato appena trascorso suscita l’attenzione di parecchi club. Anche la Roma, fresca di scudetto, chiede informazioni su Barbadillo, con il presidente Viola grande estimatore del “Tartufòn”: “Sento tanto parlare di Platini, ma l’Avellino ha uno come Barbadillo che sul campo fa furore!”. Sulla panchina biancoverde, invece, viene riconfermato Veneranda, rimasto in sella dopo l’ottimo girone di ritorno compiuto dall’Avellino sotto la sua guida (16 punti). Barbadillo è un punto fermo della squadra specialmente dopo la cessione di Vignola alla Juventus, rimpiazzato dall’acquisto dell’attaccante argentino Diaz. I due sud americani formano un tandem di tutto rispetto. Prima di un Juventus-Avellino faranno esclamare a Trapattoni: “Bisogna stare attenti a quei due”. Il girone d’andata però non si chiude nei migliori dei modi. L’esonero di Veneranda (otto punti in nove gare) con Bianchi non sembra dare gli effetti sperati. Dopo 15 gare l’Avellino è terzultimo a quota 10 punti. La musica cambia durante il girone di ritorno. L’Avellino di Bianchi cambia radicalmente marcia (16 punti conquistati), Diaz, dopo le sole due reti nelle prime 15 partite, si sveglia nella seconda parte del campionato (5 reti). Barbadillo, invece, dopo la rete all’esordio contro il Milan, firma due realizzazioni importantissime contro il Catania (rete che vale un punto in un delicato scontro salvezza) risultando decisivo anche nel match contro il Verona (1-0 alla 25°). A 90’ dal termine, dopo il pari esterno in casa della Juventus, l’Avellino conquista la sua ennesima permanenza in serie A. Barbadillo chiude la stagione con all’attivo 27 presenze e 3 reti, con 2.601 minuti giocati.

Esultante dopo una rete

Stagione 1984-85

Nella stagione 1984/85 la panchina biancoverde cambia nuovamente timone. La colonia sud americana si infoltisce con l’arrivo di Angelillo, argentino di nascita ma naturalizzato italiano, che succede a Bianchi alla guida della squadra irpina. Come da prassi, l’Avellino conquista la sua salvezza al Partenio: 19 punti su 25 arrivano in casa, frutto di 6 vittorie e 7 pareggi, con appena 9 reti subite tra le mura amiche. Gli attaccanti segnano poco, Diaz si ferma a 5 reti stagionali, Faccini solo 2. La fortuna di Angelillo si chiama Angelo Colombo, il biondo esterno si laurea capocannoniere della squadra con 6 reti. L’Avellino trascorre buona parte della stagione a debita distanza dal terzultimo posto, venendo però risucchiata nei bassifondi dopo le tre sconfitte consecutive patite contro Udinese, Napoli e Milan (22°-24°). Le vittorie contro la Sampdoria (2-1 alla 27°) e la Lazio (1-0 all’Olimpico la domenica seguente) sanciscono la definitiva salvezza a due giornate dalla fine. Barbadillo, nel suo anno meno prolifico, chiude la stagione con all’attivo 24 presenze (2.084 minuti giocati) ed una sola realizzazione. La sua avventura in maglia biancoverde è ormai al capolinea. Dopo tre anni lascia definitivamente l’Irpinia con un bottino personale di 10 reti in 81 presenze di campionato. L’Avellino fiuta l’affare e nel 1985 cede l’asso peruviano all’Udinese in cambio di 1,4 miliardi di lire. Sarà sostituito da Alessandro Bertoni. Le sue gesta però entrano di diritto nella storia dell’Avellino calcio.

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