Il 27 dicembre del 1985 la presidenza dell’Avellino cambia volto. Elio Graziano, industriale nel campo della chimica, diventa il nuovo presidente dell’U.S. Avellino, quando succede a Pecoriello. Figlio di un ferroviere, dopo la maturità classica, Graziano entra nelle ferrovie dello Stato. Ma la passione per la chimica lo porta ben presto ad abbandonare il posto d’impiegato statale. S’iscrive prima all’Università di Bologna e dopo, a Parigi, alla Sorbona. Quando ritorna, ha nella borsa una presunta laurea honoris causa in ingegneria chimica. Continua gli studi e lavora alla formula di un solvente che rimuove le particelle elettrostatiche dalle pareti dei treni. Questa scoperta sarà la sua fortuna. Fonda il gruppo Idaff-Icg, che fattura 230 miliardi di lire l’anno, fatturato che in gran parte arriva da commissioni pubbliche del ministero dei trasporti. Inventore del TNT, tessuto non tessuto, utilizzato dalle Ferrovie dello Stato per le lenzuola, carta igienica e saponi per le cuccette dei vagoni. In poco tempo diventa industriale e apre un’altra fabbrica, l’Isochimica. Per conto dello Stato, tratta la <<decoibentazione>> delle vetture dei treni. Smonta le pareti e i pavimenti dei vagoni e sostituisce l’amianto con materiale isolante. Dopo lo stabilimento di Fisciano e di Avellino, apre un altro stabilimento a Ivrea, l’Elettrochimica Canavese. Al suo capezzale ci sono quasi 1.200 dipendenti. Diventato ben presto miliardario, nel 1985 tenta la scalata al vertice societario della società irpina: “A fine campionato 1984/85 fui chiamato dall’allora sindaco Venezia che mi disse che il procuratore capo della Repubblica di Avellino, Antonio Gagliardi, mi cercava. Messo al cospetto del procuratore questi mi disse: Graziano, ho rischiato la vita per sconfiggere la criminalità in città, ora voglio che la squadra di calcio vada nelle sue mani perché lei è un grande lavoratore, onesto, pulito ed ha disponibilità finanziarie per mantenere la squadra in serie A”.
L’estate del 1985 si rivela parecchio movimentata a livello societario. Graziano rileva le quote dissequestrate di Sibilia (46000 azioni per un costo di 550 milioni) e acquista quelle di Iapicca. Con 680 milioni di lire di azioni tenta la scalata al potere, ma è fermato da una finanziaria interna che evita il ribaltamento societario. Il presidente in carica Picariello, insieme a Brogna, Spina e Minichiello formano una finanziaria per evitare di perdere la maggioranza. Con il 51% rimangono in sella alla società contro il 49% di Graziano. Passano solo pochi mesi ed ecco arrivare il cambio al vertice. Grazie alle azioni acquistate dagli altri soci, nel dicembre del 1985 Graziano diventa ufficialmente presidente. È eletto da un direttivo composto da soli cinque membri, dopo un’animata assemblea di circa due ore liquida tutto il vecchio gruppo dirigente, a cominciare da Pecoriello, al vertice del sodalizio nell’ultimo biennio. “Non venderemo né Diaz né De Napoli – sono le prime parole da massimo dirigente – né altri grossi giocatori. Abbiamo programmi ambiziosi da portare avanti, l’Avellino deve diventare ancora più forte”. La sua “prima” da presidente è un Avellino-Juventus 0-0, in un Partenio stracolmo (41.354 spettatori) con record d’incasso stagionale di 406 milioni di lire. Al termine della stagione l’Avellino conquista la sua ottava salvezza consecutiva, Graziano, però, si fa notare per l’esonero dell’allenatore Ivic (“una decisione sofferta”, dirà), quando a otto giornate dal termine mancavano pochi punti per la matematica permanenza in massima serie. A stagione finita arriva anche la conquista dell’unico trofeo dell’Avellino in massima serie: il Torneo estivo. Complice una situazione finanziaria precaria, la società è costretta a vendere i pezzi pregiati. Nel mercato estivo del 1986 vanno via sia De Napoli (ceduto al Napoli per 6 miliardi) che Diaz (alla Fiorentina per 3 miliardi).
Pochi gli acquisti e non di nome: Gazzaneo, Cecconi, Tovalieri e Boccafresca. Lo scetticismo generale prende il sopravvento (“quest’anno retrocediamo”, sono le parole del sindaco Venezia), Graziano così ricorre ai ripari e, poco prima dell’inizio del campionato, manda via l’allenatore Robotti per far ritornare Vinicio. Solo a settembre mette mano al portafoglio con gli arrivi di Colantuono, Schachner (600 milioni dal Pisa, più villa in costiera e due biglietti al mese Napoli-Vienna) e Dirceu (400 milioni d’ingaggio). Sulle maglie, invece, appone il marchio Dyal, detersivo prodotto proprio in una delle sue fabbriche. Dopo un girone d’andata incerto, l’Avellino nel ritorno cambia marcia e conquista l’ottavo posto finale, miglior piazzamento di sempre in serie A insieme alla stagione 1981/82. “Don Elio”, com’era comunemente chiamato, sfreccia per Avellino con le sue macchine potenti, atterra in elicottero (affittati) poco prima delle gare al Partenio, elargisce banconote da centomila lire a chi gli sta vicino, paga 80 milioni di premio a ogni vittoria della squadra. Una volta gli fanno credere che per partecipare a “Il processo del lunedì” occorre pagare venticinque milioni e lui, senza batter ciglio, consegna il contante al ciarlatano di turno, almeno così dice la leggenda. Il suo castello però sta per crollare. Il 23 maggio del 1987 Avellino si sveglia con una notizia che scuote l’ambiente: il presidente Graziano è accusato di truffa aggravata e falso in atto ai danni dello Stato. Su di lui pende un ordine di cattura da parte della procura di Salerno. L’accusa riguarda un gonfiamento di perizie riguardanti i danni provocati dal terremoto nello stabilimento Idaff-Icg di Fisciano. Secondo il magistrato Russo che ha condotto l’inchiesta, Graziano avrebbe fatto lievitare la perizia per i danni a 17 miliardi di cui 6 già incassati. Graziano, però, è riuscito a scappare all’arresto fuggendo in elicottero. “È un clamoroso errore giudiziario”, sono le parole dei difensori di Graziano.
Dopo Matarazzo e Sibilia, un altro presidente dell’Avellino incappa in guai con la giustizia. “La serie A è un patrimonio di tutti. Dobbiamo stringere i denti”, sono le parole del sindaco Venezia; anche il capitano Colomba rimane esterrefatto: << Siamo sconcertati ma fiduciosi, è un grande presidente, ha offerto sempre le massime garanzie>>. Di Graziano non si hanno tracce. Secondo alcuni si troverebbe in Svizzera, secondo altri in America Latina. Un altro ordine di cattura è emesso a Francesco Improta, anche lui uomo di fiducia di Graziano, che nell’azienda Idaff ricopre l’incarico di amministratore delegato. Il 5 giugno del 1987, dopo 14 giorni di latitanza, Graziano si costituisce solo perché riesce ad ottenere gli arresti domiciliari invece del carcere: “Seppi da Boniperti dell’ordine di cattura che pendeva su di me proprio mentre stavamo trattando la cessione di Alessio alla Juventus”. Ottenuti i domiciliari, Graziano riprende il lavoro di conduzione dei suoi tre stabilimenti nella sua villa in viale delle Querce nel quartiere residenziale di Sala Abbagnano. Recluso in casa Graziano nomina presidente Francesco Improta, ragioniere, suo fidato collaboratore. Complice le turbolenze giudiziarie, il mercato in casa irpina non decolla. Le partenze di Dirceu e Alessio (6 miliardi dalla Juventus) non sono rimpiazzate. Dalla Grecia sbarca Anastopoulos, l’attaccante greco si rivelerà un vero fallimento. L’inizio del campionato è disastroso, dopo cinque giornate salta anche la panchina di Vinicio. Nel novembre del 1987 si parla anche di un’eventuale cessione del pacchetto azionario a Tanzi, ma l’affare alla fine salta. Nonostante il buon girone di ritorno all’Avellino non riesce l’impresa. Dopo dieci trascorsi in serie A arriva la retrocessione. L’estate del 1988 è la più calda della storia dell’U.S. Avellino. Graziano non si trova, di Improta nemmeno l’ombra. Non ci sono i soldi nemmeno per l’iscrizione. L’Avellino è sommerso dai debiti: 7 miliardi di Irpef non pagati, più 5 di deficit. Sono pignorati pure i mobili, televisori, coppe e targhe. Dopo vari tira e molla alla fine Graziano cede il pacchetto azionario per la cifra simbolica di dieci mila lire, quando il valore del club toccava quasi 12 miliardi. Chiuso il capitolo Avellino calcio per “ Don Elio” sopraggiungono altri guai giudiziari. Nel settembre del 1988 la sua fabbrica, l’Isochimica, chiude. Ben 300 operai rimangono senza lavoro. Pochi mesi prima le F.s., società con cui Graziano aveva gli appalti, mette fuori servizio le carrozze contenenti amianto e sospende l’uso di quelle bonificate, bloccando di conseguenza i lavori di scoibentazione delle carrozze.
Nel 1983 Graziano vince vinto l’appalto per la decoibentazione delle carrozze ferroviarie (raschiatura dell’amianto), appalto da 10 miliardi l’anno. Graziano riesce nell’impresa di aggiudicarsi l’appalto ancor prima di fondare l’Isochimica. Non ci sono ancora i capannoni, le prime vetture sono raschiate a cielo aperto, senza nessuna precauzione. L’amianto raschiato dalle oltre 2000 carrozze e vagoni ferroviari viene interrato all’interno dello stabilimento. In cinque anni di attività (1983-1988) la fabbrica bonifica 1.740 carrozze e 499 elettromotrici, 2-3000 kg di amianto estratto da ogni carrozza. A nulla servono le denunce degli operai, nel corso degli anni, infatti, trovano la morte quasi 20 persone più altri 150 malati. “L’amianto fa meno male della Coca Cola”, furono le parole di Graziano appena esplose la protesta. I guai, però, non finiscono qui. Qualche mese dopo scoppia lo scandalo delle “Lenzuola d’oro”. L’Idaff di Fisciano ottiene un appalto per 150 miliardi per la fornitura di lenzuola per le cuccette dei treni. Al bando partecipa solo la fabbrica di Graziano, regina delle forniture cartacee alle F.s. da quasi dieci anni. Per ottenere tale commissione Graziano elargisce tangenti per oltre 720 milioni alle massime cariche istituzionali delle F.s., che dovettero dare le dimissioni. Anche qui scappò all’arresto, ritornando in Italia solo dopo un mese di latitanza in Brasile. Chiudendo definitivamente la sua carriera da industriale e da latitante.