Lunga e calda è l’estate del 1983. Il 9 giugno, nel pieno del calcio mercato, il presidente della Federcalcio, Sordillo, blocca l’importazione di giocatori stranieri: sono salvi solo i contratti che verranno depositati entro quattro giorni e quelli dei tre club neopromossi dalla B (il cui campionato si chiude il giorno dopo), mentre per i contratti già firmati solo una positiva valutazione federale della “compatibilità economica” ne consentirà la ratifica. Il tutto per impedire lo sperpero di miliardi in rotta verso l’estero (vedi i possibili acquisti “monstre” di Zico, 6 miliardi, e Cerezo, 5,9). Il blocco però favorisce i club (come Juventus, Fiorentina, Torino e Sampdoria) che hanno già completato il parco stranieri. Sibilia critica duramente la decisione della Figc: “Si tratta di un provvedimento veramente assurdo ed ingiusto che avvantaggia alcune società a danno di altre”. L’Avellino, comunque, anticipa il blocco e annuncia, nel pieno rispetto delle clausole, il brasiliano Riccardo Ferretti, attaccante dell’Universidad do Nuevo Leon di Monterrey, ex compagno di squadra dell’altro straniero presente in rosa, Barbadillo. Il 14 giugno, a termine scaduto, la Roma ufficializza Cerezo, mentre l’Udinese scrittura Zico. L’Avellino invece ratifica il contratto di Ferretti. Sibilia mette sul piatto 680 milioni di lire, mentre il calciatore, che ha un padre di origini ferraresi, firma un triennale da 70 milioni l’anno. Il 16 giugno, mentre sono in corso le operazioni di mercato presso l’Hotel Gallia di Milano, il presidente irpino viene arrestato. “Il commendatore Sibilia è atteso nella hall da due persone”, con quest’annuncio il numero uno irpino viene prelevato e accompagnato in Questura. Sibilia entra nella vasta retata anticamorra che porta alla cattura di oltre 850 persone. Sibilia, prima dell’arresto, è riuscito a piazzare Tacconi (1,2 miliardi) e Vignola (3 miliardi) alla Juventus in cambio dell’altra metà di Osti (500 milioni) e dell’ala Marocchino, poi girato alla Sampdoria in cambio di un miliardo più Vullo. Le altre operazioni in entrata sono gli acquisti del portiere Rossi dal Taranto; i difensori Biagini dal Parma, Cilona dal Bologna e Lucci dalla Roma; i centrocampisti Bertoneri dal Torino (600 milioni per la metà), Colomba dal Bologna (1,3 miliardi) e Mileti dal Lecce (500 milioni per la comproprietà); in attacco, il danese Skov (passato ai tedeschi dell’Herta Berlino) è stato rimpiazzato dal brasiliano Ferretti. Ritornano alla base, per fine prestito, i vari Pecoraro, De Napoli e Maiellaro. La società inoltre decide di riscattare sia Limido (450 milioni) che Bergossi (350 milioni). Oltre ai citati Tacconi, Vignola e Skov, vanno via anche i vari Albiero (rientrato al Como per fine prestito), Cascione (riscattato dal Catanzaro per 300 milioni), Ferrari (Perugia), Centi (Como), Malaman (riscattato dalla Spal per 180) e Vailati (alla Triestina per 120 milioni).
Il 2 luglio la Figc promuove alcuni contratti e concede una sorprendente dilazione di dieci giorni ad Avellino (in attesa dell’ok della Lega per Ferretti), Genoa, Inter, Lazio e Pisa per il rispetto della citata “compatibilità dell’accordo con la capacità economica della società”, mentre boccia sia il contratto di Zico, per i contorni poco chiari, che quello di Cerezo. Partono gli esposti, nel caos generale il presidente della Repubblica, Sandro Pertini, con una frase sblocca la matassa: “Mi piacerebbe veder giocare Zico e Cerezo in Italia….”. Alla fine il Coni ratifica i contratti di Zico e Cerezo, il veto scompare ma la figuraccia della Figc resta memorabile. Pochi giorni prima della partenza per il ritiro di Piobbico, scoppia il caso Ferretti. La pratica del brasiliano viene bloccata dalla Lega per incompletezza della documentazione. I dirigenti irpini hanno difficoltà nel reperire i soldi per l’acquisto dell’attaccante, o almeno è quello che trapela dai corridoi della società. Alla fine l’affare salta. Il 17 luglio la commissione dei trasferimenti ratifica il passaggio di Dirceu al Napoli. La società partenopea si ritrova con tre stranieri in rosa: Dirceu, Krol e Diaz. Uno è di troppo. Ed è proprio Diaz a finire sul mercato. La società irpina fiuta l’affare, con costi economici notevolmente inferiori, e dopo un lungo tira e molla (l’operazione verrà conclusa solo a fine agosto) ufficializza l’acquisto dell’argentino:“Ho trovato tanti tifosi entusiasti, mi è sembrato di rinascere. Dopo la calda accoglienza che ho avuto, mi sono reso conto che quello avellinese è un ambiente passionale del tipo sudamericano. Mi hanno fatto dimenticare d’incanto un anno sofferto tinto da cocenti umiliazioni. Con l’Avellino voglio dimostrare che Diaz non è affatto un calciatore finito. La mia promessa è di segnare quanti più gol possibili, non per la salvezza ma per dare all’Avellino una classifica tranquilla”. Le due squadre effettuano uno scambio di comproprietà: Diaz all’Avellino e Favero al Napoli (poi rimasto un altro anno in Irpinia). Entrambi vengono valutati 1,7 miliardi.
Tanti acquisti come tante cessioni. L’Avellino ai nastri di partenza della stagione 1983/84 cambia nuovamente pelle. Veneranda, riconfermato dopo i buoni risultati della passata stagione, non sembra preoccupato: “Ci sono le premesse per disputare un campionato tranquillo”. Nel ritiro è presente anche Di Somma, l’esperto libero, dato in partenza, si unisce alla comitiva dopo il saltato passaggio alla Cavese. Rinnoverà il contratto, l’ultimo in maglia biancoverde, al termine della preparazione. Non particolarmente impegnative le amichevoli pre campionato. La squadra di Veneranda comunque riesce nell’intento di vincerle tutte: Serrana (14-0); Audax Piobbico (4-1); Città di Castello (3-1); Fano (2-0); Rimini (5-0) e Civitanovese (1-0). Nelle prime gare ufficiali della stagione l’Avellino non si lascia trovare impreparato. La squadra di Veneranda, infatti, inizia nel migliore dei modi la Coppa Italia. Vittoria all’esordio in quel di Empoli (1-0); pari interno contro la Sambenedettese (0-0), poi altra vittoria esterna in quel di Parma (3-1). Nella seconda gara esterna consecutiva arriva la prima sconfitta, quando l’Inter batte per 3-1 gli irpini. Nella gara contro i nerazzurri c’è da registrare l’esordio di Diaz. Per conoscere le due qualificate agli ottavi bisogna aspettare l’ultima giornata. L’Avellino impatta con il Cesena (1-1) e, complice il pareggio dell’Inter (1-1 a Parma), permette a Diaz e company di passare il turno. La classifica alla fine recita: Cesena 7 punti; Avellino 6 p.; Inter, Sambenedettese e Parma 5 p.; Empoli 2. Agli ottavi di finale, che si giocheranno a febbraio, l’Avellino pesca il Verona.
Il Campionato
Il campionato è ormai alle porte. Il calendario mette di fronte ai lupi il Milan di Castagner, la squadra rossonera, mai vittoriosa in Irpinia, arriva al Partenio da neopromossa. L’Avellino conferma la tradizione positiva e con un secco 4-0 liquida il Milan nella prima di campionato. Il 14 settembre il consiglio d’amministrazione elegge l’avvocato Giacinto Pelosi nuovo presidente in sostituzione di Sibilia, impossibilitato a svolgere tale carica dopo le note vicende giudiziarie. Pelosi viene eletto massimo esponente della società nonostante un capitale azionario di appena 50mila lire. Dopo l’esaltante vittoria ai danni del Milan, alla 2° giornata arriva la pesante sconfitta di Ascoli (1-4), seguita dai due punti conquistati contro l’Udinese (2-1). Al termine della gara il brasiliano Zico attacca gli arbitri, poiché non l’avrebbero tutelato in questa parte iniziale del campionato dalle marcature non proprio “leggere” dei difensori italiani, ultime quelle di Osti. L’Avellino esce nuovamente sconfitto dalla trasferta di Napoli (0-2), poi arriva il primo pari interno contro il Torino (0-0), con Barbadillo che sciupa un calcio di rigore. Al termine della partita il tecnico Veneranda viene fischiato dai tifosi, con tanto di lancio di lattine in campo. Il motivo di tale contestazione sembra essere lo scarso utilizzo di Diaz (in panchina contro il Torino per tutto l’arco della gara), anche se la causa principale è da cercare nel malcontento di alcuni dirigenti ostili al tecnico, mentre la maggioranza del consiglio di amministrazione è favorevole al mantenimento dell’allenatore. In sede circolano già i nomi di Marchesi e Carosi. Alla ripresa degli allenamenti un manipolo di tifosi (appena undici) contesta aspramente Veneranda e la squadra con lanci di pomodori e pietre. “E’ tutto strumentalizzato” sono le parole del tecnico. Alla 6° arriva il primo blitz esterno contro il Genoa (2-0), mentre contro il Catania arriva un altro pari a reti inviolate. Dopo sette giornate la squadra di Veneranda è quinta in classifica a quota 8 punti, dietro solo a Roma (12 punti); Verona (11 p.); Juventus e Torino (9 p.). Nel mercato di ottobre la società corre ai ripari ed ingaggia due portieri per dare sicurezza al reparto arretrato. Dal Catanzaro arriva l’estremo difensore Zaninelli, con la stessa società calabrese si compie anche lo scambio Paradisi-Cervone. Vanno via anche l’altro portiere Rossi (Pescara) e il centrocampista Mileti (ceduta la comproprietà al Genoa in cambio di 450 milioni). Nel momento migliore arrivano due sconfitte inaspettate.
L’Avellino perde prima contro la Lazio (2-1 all’Olimpico, con i biancocelesti ultimi in classifica) e poi in casa contro la Sampdoria (0-2 alla 9°). La gara contro i blucerchiati mette anche fine alla lunga imbattibilità del Partenio (che durava da un anno), violato dopo quattordici gare senza sconfitte. Nella serata del 22 novembre arriva inaspettata la decisione della società: Veneranda è esonerato. Al suo posto arriva Ottavio Bianchi. Il nuovo allenatore punta tutto sul gruppo e sui gol di Diaz: “E’ un’occasione importante. Ho accettato con entusiasmo. Ho già parlato con i calciatori, bisogna fare gruppo. Ho parlato anche con Diaz, deve recuperare la condizione fisica”. Bianchi firma un contratto annuale con un compenso di 60 milioni cui se ne aggiungeranno 20 in caso di salvezza. L’esonero, però, lascia sorpreso anche Veneranda, l’allenatore lascia la squadra con 8 punti in classifica (gli stessi dell’Inter e uno in più del Napoli) dopo nove partite: “L’esonero non me lo so spiegare neppure io. Da tempo, però, la manovra era nell’aria. Non c’è mai stato un rapporto chiaro, forse, ma i risultati non sono certamente mancati. Non è facile mettere insieme 33 punti in 34 partite. Tanti ne ho racimolati da quando sono alla guida dell’Avellino”. I dirigenti scelgono Bianchi dopo aver valutato tre ipotesi. Marchesi ha declinato reiteratamente l’invito, Carosi non godeva dell’unanimità dei dirigenti. Il nome di Bianchi ha messo, alla fine, tutti d’accordo.
L’avvio del nuovo tecnico in sella alla guida dei biancoverdi, però, non è dei migliori. L’Avellino perde malamente a Verona (0-3), poi strappa un punto importante (pari di Lucci al ’90) contro l’Inter (1-1). La serie negativa di partite senza vittorie si allunga con l’ennesima sconfitta esterna contro la Roma (2-3). La 13° giornata è già scontro salvezza, contro il Pisa, però, termina 1-1. La classifica inizia a traballare. A peggiorare ulteriormente la situazione ci si mettono le sconfitte subite contro Juventus (1-2) e Fiorentina (0-1). L’Avellino chiude il girone d’andata in terzultima posizione: Genoa 11 punti; Avellino 10 p.; Lazio 9 p.; Catania 8 p. Anche il girone di ritorno parte con il piede sbagliato. L’Avellino lontano dal Partenio si conferma una squadra fragile, contro Milan (0-1) arriva l’ennesimo stop esterno (il settimo in otto gare). La gara contro l’Ascoli della domenica successiva è di vitale importanza. Il pubblico irpino si stringe attorno alla squadra, Diaz e company fanno il resto. Dopo dieci gare senza vittorie (7°-16°, con soli tre punti conquistati), l’Avellino, alla 17°, ritorna a conquistare i fatidici due punti. Per Bianchi è il primo sorriso in campionato. La classifica, però, resta deficitaria. L’Avellino perde contro l’Udinese (1-2), rifacendosi immediatamente nel derby contro il Napoli (1-0, rete decisiva dell’ex Diaz). In settimana si registra l’ennesima svolta societaria. Pelosi, che aveva preso la carica da Sibilia, si dimette. Ci vogliono tre riunioni del consiglio di amministrazione per eleggere il nuovo presidente ma, alla fine, ecco arrivare la fumata bianca. Il 15 febbraio del 1984 Pecoriello diventa il nuovo presidente dell’Avellino, con sette voti favorevoli e due contrari ha la meglio su Brogna e Spina. L’elezione di Pecoriello (in possesso di azioni per un valore di cento milioni di lire) diventa necessaria per coprire il “vuoto di potere” creatosi con la gestione Pelosi. Il mal di pancia della squadra lontano dal Partenio, però, non si placa nemmeno contro il Torino (2-4). Inoltre c’è da registrare anche l’uscita dalla Coppa Italia per opera del Verona.
Negli ottavi di finale, dopo la vittoria interna per 1-0 contro gli scaligeri, la truppa di avellinese alza bandiera bianca solo dopo i tempi supplementari (0-3). L’altalenante serie di risultati continua con la terza vittoria interna consecutiva contro il Genoa (3-1), quella contro i grifoni è una vittoria importantissima in chiave salvezza. Alla 21° la classifica recita: Pisa 17 punti; Avellino, Lazio e Napoli 15 p.; Genoa 13 p.; Catania 9 p. Dopo il Genoa, il calendario mette di fronte all’Avellino altri due scontri salvezza. Sul neutro di Messina, l’Avellino, seguito da oltre 2.000 tifosi, impatta 1-1 con il Catania (interrompendo la serie di sette sconfitte consecutive in trasferta), sbarazzandosi alla 23° della Lazio grazie ad un secco 3-0. La vittoria permette di portare a due i punti di distacco dalle terzultime (Avellino 19 p; Lazio e Napoli 17 p.). Il momento positivo in casa biancoverde continua con il blitz esterno contro la Sampdoria (1-0), seguita dalla terza vittoria consecutiva (la quarta nelle ultime cinque) contro il Verona (1-0). A cinque giornate dal termine la classifica inizia a sorridere alla truppa di Bianchi: Avellino 23 p.; Napoli 21 p.; Lazio 20 p.; Pisa 19 p.; Genoa 17 p.; Catania 11 p. Dopo cinque gare utili consecutive (21°-25°, nove punti conquistati) l’Avellino cade contro l’Inter (0-3), ottenendo alla 27° contro la Roma (2-2) un punto importantissimo ai fini della salvezza. L’ennesima sconfitta lontano dal Partenio contro il Pisa (0-1) non lascia grossi strascichi negativi sulla classifica, a 180’ minuti dal termine l’Avellino intravede la salvezza: Avellino e Napoli 24 p.; Genoa e Lazio 22 p.; Pisa 21 p.; Catania 11 p. Dopo Pisa arriva un’altra gara in trasferta, alla 29° l’Avellino è di scena al Comunale di Torino, avversario la Juventus. Ai bianconeri per laurearsi Campioni d’Italia basta un punto: Rossi porta in vantaggio i padroni di casa, Colomba, su rigore, firma il definitivo 1-1. Complice il pareggio del Genoa a Firenze, il punto conquistato contro la Juventus permette all’Avellino di agguantare la salvezza con una giornata di anticipo. La stagione si chiude con il pari interno contro la Fiorentina (0-0). L’Avellino così agguanta per la sesta volta consecutiva la permanenza in serie A. I lupi chiudono il campionato in undicesima posizione in classifica con 26 punti, gli stessi del Napoli.
L’Allenatore
Dopo la salvezza conquistata al termine della stagione 1982/83, l’allenatore Veneranda aveva ampiamente meritato la riconferma. Nonostante i tanti cambi in rosa, la squadra era partita nei migliori dei modi con tre vittorie nelle prime sei giornate (come non ricordare il 4-0 inflitto al Milan all’esordio). Dopo nove giornate arriva, inaspettato, l’esonero, nonostante una classifica del tutto tranquilla. Arriva Bianchi ma i risultati, almeno inizialmente, tardano ad arrivare. Il nuovo tecnico impiega otto partite per ottenere la prima vittoria. Dopo i due punti conquistati contro l’Ascoli (17°), l’Avellino anella risultati importanti che la proiettano alla salvezza con una giornata di anticipo. Le caratteristiche vincenti di Bianchi sono: studio approfondito delle caratteristiche dei giocatori e della società, oltre che dell’ambiente. E poi grande applicazione nel gestire il gruppo secondo le proprie qualità. Le formazioni che i due tecnici mettono in campo sono sostanzialmente le stesse, salvo due grosse novità attuate da Bianchi: il cambio Zaninelli-Paradisi tra i pali e la “promozione” a titolare dell’esordiente De Napoli. Due cambi che alla fine hanno giovato sull’andamento della squadra.
La nota
L’Avellino ha conquistato una buona fetta di salvezza solo dopo l’ottimo inizio del girone di ritorno con la bellezza di tredici punti conquistati dalla 17° alla 25°. L’andata, infatti, si era chiusa al terzultimo posto con soli dieci punti conquistati, causati prevalentemente dai soli tre punti guadagnati dalla 7° alla 16°. La vittoria contro l’Ascoli (17°) ha messo fine al digiuno di gare senza vittorie (10), e ha permesso alla squadra di Bianchi di recuperare la fiducia smarrita. L’ottimo girone di ritorno chiuso con sedici punti è stato decisivo per la conquista della salvezza, arrivata con una giornata di anticipo. Impensabile dopo la prima parte del campionato. Fattore decisivo, come sempre, il Partenio. Dei 26 punti conquistati 20 sono arrivati tra le mura amiche. Su diciassette calciatori di movimento ben tredici sono andati almeno una volta a segno, con Diaz (7 reti) e Colomba (6 reti di cui 4 su rigore) capocannonieri della squadra. Molto travagliata è stata la stagione anche a livello societario. Basta vedere con quanta superficialità è stato condotto l’esonero di Veneranda, allontanato più per i capricci di qualche dirigente che per reali demeriti. Alla presidenza si sono alternati Sibilia, Pelosi ed infine Pecoriello, e solo con quest’ultimo si è raggiunta una certa stabilità, non solo economica.
La squadra
Partito Tacconi, praticamente insostituibile negli ultimi tre anni, non si rivela azzeccata la scelta di affidare al giovane portiere Cervone (1962; 5 presenze/7 reti subite) l’incombente eredità. Nella finestra di mercato di ottobre, infatti, gli unici acquisti sono due estremi difensori: Zaninelli e Paradisi. Più esperto il primo (al suo attivo ha già tre stagioni da titolare nelle fila del Catanzaro), il quale, almeno inizialmente, gode della fiducia di Bianchi. Gli scarsi risultati della squadra e le opache prestazioni di Zaninelli (1959; 9/-14) fanno poi ribaltare la situazione a vantaggio di Paradisi (1959; 16/-18), che da gennaio in poi diventa titolare senza lasciare più la porta. In difesa, le certezze di Veneranda prima e Bianchi poi sono il terzino destro Osti (1958; 29/0) e lo stopper Favero (1957; 30/0), due elementi di sicuro affidamento. A sinistra l’esperienza di Vullo (1953; 22/1), mentre il ruolo di libero se lo sono divisi Di Somma (1948; 14/0) e Biagini (1961; 13/1). Completavano il pacchetto arretrato Lucci (1965; 14/1) e Cilona (1961; 4/0). Il centrocampo è il reparto che ha dato più garanzie complice la duttilità di alcuni elementi. Limido (1961; 26/2) ha garantito una continuità di rendimento su tutto l’out sinistro; nel mezzo, la qualità e la quantità di Tagliaferri (1959; 29/4) coadiuvato dalla sapiente regia di Colomba (1955; 30/6), poi spostato sull’esterno dopo l’esplosione di De Napoli (1964; 18/1). Sul versante destro solo raramente si è fatto a meno di Schiavi (1959; 26/1). Bertoneri (1963; 22/2) si è rivelato utile più durante le gare in corso, mentre Maiellaro (1963; 6/0) è stato utilizzato solo sporadicamente. In attacco, le sorti offensive sono cadute quasi sempre sul tandem sudamericano Diaz-Barbadillo. Diaz (1959; 24/7) una volta raggiunta la forma ottimale è diventato una pedina insostituibile. Barbadillo (1954; 27/3) è stato l’uomo di raccordo tra centrocampo e attacco, meno prolifico rispetto alla stagione precedente ma più incisivo come assist-man. Bergossi (1959; 18/2) per il secondo anno consecutivo non è riuscito a ritagliarsi una certa continuità di rendimento, risultando alla fine più utile da subentrato.
I MIGLIORI: Barbadillo (6,76); De Napoli (6,44); Favero (6,43).
I PEGGIORI: Zaninelli (5,89); Bergossi (5,92); Lucci (6,00).